I dubbi e le perplessità avranno sicuramente attanagliato gli artisti del passato così come succede con quelli del presente, le domande che ognuno si pone sulle proprie capacità, sulla ricerca effettuata, sulla strada da percorrere rimangono attuali in qualsiasi stagione ed epoca.
Le paure e le ansie di Michelangelo davanti ad un blocco di marmo da scolpire, la grandezza dei muri da dipingere da parte di Andrea Mantegna, l’incertezza davanti ad una tela bianca per Jackson Pollock, le sequenza cromatiche e vibranti per Mark Rothko.
Si è sempre in bilico tra il fare bene le cose e il farle senza la convinzione necessaria che sia corretto quello che si crea. Il timore di non essere compresi, di produrre un lavoro che non ha né capo né coda, la consapevolezza di aver perso tempo prezioso, creare per poi distruggere il risultato, sono sempre percorsi vani?
Non sempre. Anzi, il valore che si va ad aggiungere al prossimo lavoro che si crea tiene sicuramente conto di eventuali errori o accorgimenti che si vanno a sommare o sottrarre a quello prodotto in precedenza. Quindi il tempo non è mai buttato, ma arriva giustappunto ad un avanzamento operativo sia dal punto di vista creativo sia da quello personale.
Un bravo pasticciere sa che per ottenere la crema giusta si devono prima di tutto conoscere gli ingredienti, poi i dosaggi e i tempi di cottura e, non sempre, il risultato è quello sperato: la crema troppo dolce, troppo salata, poco cotta, troppo liquida, troppo densa, ma i tentativi, l’esperienza, la ricerca e i consigli porteranno al prodotto finale di successo.
E tutte le prove fatte prima? Servono! Certo, servono per capire che non è mai sbagliato lo sbaglio fatto…recita il detto che “sbagliando si impara“, si impara a non (ri)fare gli stessi errori, ma ad ottenere la migliore crema pasticciera, il miglior esito.
Se ci si ferma alla sola apparenza cosa resta? Un giudizio affrettato e inutilmente sterile, solo relegato a ciò che si vede, non a ciò che si sente. È importante l’impressione tanto quanto l’espressione: Lucio Fontana non è solo l’artista che “fa i tagli sulla tela“, Piero Manzoni non è l’uomo che ha inscatolato la merda, Alberto Burri non è l’uomo dei sacchi lacerati, Andy Warhol non è l’artista delle Marilyn, Damien Hirst nemmeno solo colui che ha messo sotto teca e formalina uno squalo.
Per arrivare ad essere denominati artisti, per riuscire a comprendere il processo di tutte le opere e percorsi sopra citati ci si ferma alla sola sterile apparenza?
Se la risposta è “SÌ”, allora il tragitto del cammino per comprendere uomo e arte può tranquillamente fermarsi alla superficialità dell’esteriorità.
Se la risposta è “NO”, allora beh… proseguiamo il nostro discorso. Non ci si fissa sui luoghi comuni e alla semplificazione di ciò che si vede, si scava oltre perché lo sviluppo dell’arte e dell’arte contemporanea tutta richiede uno sforzo e una fatica acquisita nel corso dell’esperienza e del tempo.
Lucio Fontana, arriva allo squarcio non solo della tela, ma del tempo e dello spazio, crea un gesto irripetibile e lacera punti di non ritorno.
Piero Manzoni, firma ogni pezzo “prodotto” dall’artista denunciando un mercato dell’arte che vende l’anima e il risultato al miglior offerente e il tutto a peso d’oro.
Alberto Burri, le ferite della storia sono ferite dell’anima, di un uomo che ha squarciato la sua pelle e visto quella degli altri ricucendo pezzi di cui rimane comunque traccia visibile, una ferita, una cicatrice sempre aperta anche se sanata.
Andy Warhol, re dell’arte popolare che percepì come con il nome di “consumismo” si nascondessero le anime e la vendita dei corpi di star, di divinità cinematografiche, di icone collettive al pari di oggetti, ripetuti, classificati, standardizzati e comprati come zuppe o bibite esposte negli scaffali di un supermercato.
Damien Hirst, conserva quello che l’uomo sta perdendo, la natura, come oggetto prezioso, in un viaggio di non ritorno per l’uomo contemporaneo che affronta viaggi verso gli spazi infiniti distruggendo simultaneamente il proprio habitat e il proprio Io.
Da bravi pasticcieri i dosaggi si sono susseguiti fino ad ottenere l’amalgama giusta rimanendo attenti coi sensi, mescolando sapori, togliendo o aggiungendo storia, cultura, esperienza fino ad ottenere il gusto perfetto che non ha tempo dove si affrontano dubbi, difficoltà e perplessità trascorse per arrivare all’opera finale per saziare un appetito mai pago.