Si parla sempre più spesso di salvaguardia del patrimonio culturale, a volte con la paura di perdere la propria identità storica e la propria cultura d’origine. È bello che ci sia un interesse così radicato e sentito dalla gente per il territorio e il passato anche se spesso molte scelte su come gestire questo patrimonio è più che mai discutibile.
È una tendenza, quella della difesa del ricordo storico di appartenenza, che sfocia un po’ in tutta Italia: si passa dalla sagra di paese con tanto di improbabile ricostruzione di palio e sfilata di costumi d’epoca in luoghi dove né i mestieri rappresentati né i costumi e personaggi proposti risultano corretti, ma tant’è, per la popolazione e i numeri che parlano in bilancio serve la quantità e non la qualità; si passa poi ad eventi culturali poco azzeccati e consoni che si discostano da quel valore di ricerca e meritocrazia che poco si sposano con l’apertura di mostre fatte e dedicate a lavoretti che si avvicinano al bricolage, al teatro amatoriale e vernacolare, alle cover band.
Certo, lo spazio va dato a tutti perché è giusto dare opportunità alla creatività e alle idee, ma non a discapito della qualità!
Bisognerebbe avere il coraggio anche di andare controtendenza e dire “no” a tante esperienze che portano la distinzione poco differente dalla sagra della salsiccia all’evento degno di nota.
Giusto che siti, musei, centri culturali si aprano al pubblico, corretto che ci sia una visione d’insieme e un nuovo occhio indagatore coi tempi che cambiano, meno giusto invece non valorizzare gli spazi e i punti di ritrovo che scadono nelle proposte presenti e sminuiscono il lavoro di chi cerca di farlo in maniera professionale.
È un peccato vedere come certi spazi diventino una sorta di centro commerciale ex novo dove ci sono più e più proposte rivolte indifferentemente a tutti, senza un minimo di voglia di partecipazione e di voler educare le persone a imparare a guardare più che a compiacere lo sguardo per passar oltre.
Dove sta la colpa? Forse nella domanda e nell’offerta, nella voglia di dover ad ogni modo e costo giustificare il perché delle cose fatte con tanto di rendiconto alla mano, numeri che devono superare le aspettative, pubblicazioni e mass media all’attacco, ma tutto questo è poi sempre sinonimo di cose buone e giuste? Le amministrazioni e le istituzioni giostrano come possono le risorse e le persone e combattono ogni giorno contro i canali burocratici, i mai-contenti-per-quanto-tu-faccia, il si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio e, soprattutto, il confronto alle spalle con un passato che non torna più.
Tutto è cambiato, l’adeguamento alle trasformazioni spesso non è stato di pari passo alle aspettative, in un Paese che aveva voglia di ricominciare e ricostruire da zero dopo la Seconda Guerra Mondiale non scordando (quasi sempre) la storia gloriosa si è arrivati alla ricomposizione di un’identità attraverso scuole di pensiero, libertà d’espressione, grandi opere e costruzioni che hanno portato ad una crescita e alla definizione di “boom economico” negli anni Sessanta del Novecento.
A distanza di così tanti decenni cosa è rimasto? Le istituzioni si sono incartate tra uffici, burocrati, leggi e consensi da ottenere, grandi opere non ce ne sono più e al massimo si costruiscono giganti dai piedi d’argilla, crollano i ponti e gli edifici simbolo di una ripresa e di una voglia di ritornare a vivere, la terra trema e si scuotono le menti, ma tutto rimane in perenne stallo, al massimo si consuma tutto piano piano, fino a dimenticare.
Quando non si trovano soluzioni, si procede con i tagli: via i fondi alla cultura, meno opere rivolte alla collettività, ricerca sempre più inconsistente ed esigua, precariato ideologico, è in atto un sobbollire di malcontento e voglia comunque di andare avanti, di sperare che tutto il percorso fatto nei secoli precedenti non si dissolva come nebbia al sole in poco tempo.
Spesso gli artisti sono costretti a reinventarsi il lavoro dipingendo ad esempio muri di pizzerie o confezionando bomboniere, gli scrittori e poeti sono ingaggiati per biglietti d’auguri e sterili necrologi, i musicisti si ritrovano a far pianobar d’accompagnamento a qualche festa di matrimonio.
Esistevano il mecenatismo, la meritocrazia, lo Stato e la voglia di non arrendersi alle difficoltà, con sempre in corso nuove opportunità e sperimentazioni, esisteva il coraggio che, oggi, sembra mancare.
E così ci si abbandona alla noia e alla stanchezza vista e trita, ci si arrangerà con la sagra della salsiccia, con i lavoretti del signor qualunque, le stonature in concerto, con le sfilate in costume, ma ci si adatterà mai a non lottare abbastanza per un’idea e per la cultura? Credo e spero di no, mai.