Pubblicato il 13.05.2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it

Qualsiasi cosa diciamo, parliamo sempre di noi stessi
(Alison Bechdel)

È inutile, quando si cerca di apparire quello che non si è poi alla fine si risulta solo ridicoli di fronte agli altri e in primis di fronte a noi stessi.
Inutile quindi dimostrare di essere altro e creare false aspettative, inutile sobbarcarsi di oneri e applausi se poi in realtà si è quello che si è senza sensazionalismi e sproloquio di aggettivi a tratti imbarazzanti.
A tutti sarà capitato di essere invitati ad una festa o ad una cena dove si conosce la maggior parte degli invitati e di destare la curiosità di chi si vede per la prima volta.
Spesso si ingigantiscono le mansioni e il ruolo che si ha, ad esempio, in ambito lavorativo alla classica domanda “Di che cosa ti occupi?” pochi rispondono con sincerità cercando invece di creare qualcosa di misterioso e affascinante agli occhi e orecchie dell’interlocutore: “Sono un archeologo dedito all’avventura; sono nel progetto NASA per la missione su Marte; dirigo un’azienda di risorse umane; costruisco nano particelle per nano alieni…” difficile dire e presentarsi per il ruolo che si è e per il lavoro che si fa, tra gli scontati “Sono medico, ingegnere, avvocato, dirigente” che male c’è a dire “Sono idraulico, centralinista, impiegato, commessa”?
La paura di essere giudicati poco interessanti e stimolanti produce mostri che si smontano poi via via nel corso della conversazione…
Si, sono idraulico, centralinista, impiegato, commessa ma scrivo da Dio, dipingo da urlo, gestisco un blog, leggo tanto e divoro film e fumetti, visito mostre e città, in una sola parola: vivo! Ed ho una vita strepitosamente interessante…
Quando si parla con un estraneo che deve e vuole conoscerci si infarcisce il dialogo con parole e surplus di aggettivi da far impallidire Narciso stesso per apparire migliori e più belli di quello che siamo.
Perché camminare con i tacchi quando non si sanno portare e si è più eleganti con un paio di ballerine ai piedi?
La semplicità della parola così come quella della presentazione, sono invece le carte migliori da giocare senza per forza apparire dei super eroi negli stretti panni di un Clark Kent o Peter Parker del caso: Superman e Spiderman stanno bene nel loro ruolo e nei loro mondi fumettistici, non sono che frutto di una fantasia che vuole nell’uomo comune vedere un supereroe con tanto di superpoteri.
In realtà ogni uomo comune è un supereroe e lo dimostra ogni giorno con la sua quotidianità: alzarsi la mattina e far i conti col traffico, rendere conto a capi esigenti e stressanti che sembrano non avere anima e vita oltre il posto di lavoro, far quadrare i bilanci, telefonare ai tuoi per sapere come stanno e far sapere che ci sei, i bambini da portare a scuola, danza, basket, calcio, far la spesa al supermercato all’ora di punta, portare il cane dal veterinario, preparare la cena, lavare, stirare, giocare coi figli, accendere la passione nel partner, pensare alle vacanze estive e aspettare poi la sveglia del mattino seguente… un superore invece tutto questo non lo fa rinchiuso nella sua tutina colorata e attillata, anzi, loro non hanno manco il tempo per andare al bagno (quanti di voi ricordano Superman seduto sulla tazza del WC o Spiderman che si mette in un angolo a far pipì? Che già deve essere dura indossare la calzamaglia figuriamoci a toglierla per bisogni fisiologici poi…).
Dunque, sapere chi siamo e presentarsi agli altri con gli strumenti più chiari possibili è forse il miglior biglietto da visita.
Qualsiasi cosa diciamo, parliamo sempre di noi stessi”, è vero, il solo atteggiarsi e parlare dimostra chi siamo, cosa pensiamo, come agiamo e nonostante tutto nessun filtro nasconde i nostri pensieri. Avviene anche in arte: un artista quando crea mette sempre se stesso nelle cose che fa anche quando parla agli altri o per conto degli altri, segue le sue inclinazioni e pensieri e il suo stato d’animo si riflette poi nelle opere.
L’approccio con le opere d’arte è relegato allo stato d’animo dell’artista che in quel momento si svela al pubblico, senza filtri, senza schermi ed è nudo davanti a chi lo guarda.
Si possono capire tante cose osservando un dipinto, una scultura o un’installazione: gli stati d’animo, le sofferenze, la gioia, la ricerca, lo studio fatto prima, i disagi interiori, il percorso di vita, il momento storico, un cuore spezzato, una felicità improvvisa, una denuncia sociale, una voglia di rivalsa.
Un’opera d’arte è un diario visivo del vissuto creato di una persona, di un artista che può raccontare al suo interlocutore quello che vuole ma sono poi le opere che “parlano” per lui e si mostrano e allora che succede poi? Succede che le corde toccate dall’artista diventano le nostre e il suo linguaggio parla direttamente senza intermediari né farciture sopra le righe.
Nelle figure di Giotto la sensibilità dell’animo umano; in Leonardo da Vinci lo studio e la ricerca; in Paolo Veronese lo splendore dei colori della terra veneta; nei colori di Vincent Vang Gogh si ritrova il suo disagio; nelle linee di Pablo Picasso l’amore per la vita; in Salvador Dalì l’amore e lo stupore che s mescolano ad una padronanza tecnica condita da sogni vicino ad incubi interiori; in Lucio Fontana la provocazione in un gesto; in Mario Schifano la rabbia e la voglia di vita; in Banksy la voglia di denuncia provocare… ad ognuno il proprio artista, ad ognuno l’arte per parlare di sé, in fondo, anche quando cala il silenzio si dicono tante cose.