Pubblicato il 18aprile 2017 in http://vecchiatoart.blogspot.it

Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti
(Dante Alighieri)

L’arte va onorata e rispettata, in ogni sua forma.
Spesso questa forma di deferenza viene però a mancare, non tanto per l’onore che ad essa si deve tributare, poco importa se ad un vernissage ci si presenta in smoking o abito lungo o in sneakers e jeans, tanto invece per il rispetto a cui si deve.
Ha più importanza l’inaugurazione con caviale e champagne o quella con cracker e formaggio? È degna di nota la mostra che fa più numeri o qualità? Interessa più il “fate parlare gente” o i “pochi ma buoni”?

 Il rispetto e l’onore non devono in ogni caso mancare, che dire della presenza di tanti sedicenti politici della cultura che si presentano ad inaugurare questo o quell’evento senza conoscere nulla e senza sapere nulla di ciò che vanno a vedere? Sono magari gli stessi personaggi che poco prima hanno appoggiato il nuovo centro commerciale della zona e nel frattempo hanno messo a pagamento il parcheggio davanti al museo, gli stessi che leggono la parola “cultura” come sinonimo di sagra paesana, bancarelle di prodotti alimentari locali, giostre di cavalli luminosi e nascondo invece le segnaletiche del monumento storico o non rinfrescano la sede dell’APT locale, biglietto da visita per chi entra in città.
È così che si onora e rispettano l’arte e la cultura? Continuando a far sopravvivere enti e luoghi grazie ai volontari e alle raccolte firme e fondi per salvaguardare gli spazi o per crearne altri? Perché i giovani che si immettono nel cammino dell’arte sono costretti a viverla solo come hobby o più facilmente emigrare verso altri lidi più felici? Davvero è solo ed esclusivamente un problema di costi quello che ci circonda? Senza contare pagliacciate spacciate per festival con tanto di premi e serata di gala fatte solo per far girare sponsor e amici e che, inevitabilmente, l’anno dopo sparirà.
Un musicista è un professionista che ha dedicato anni di studio e tempo per finire poi a suonare la marcia nuziale ai matrimoni? Un pittore un professionista che è chiamato per decorare i muri di una pizzeria? Uno scrittore uno che si diletta poi a compilare necrologi per il giornale? È questa la cultura del rispetto delle professioni?
Ciò che fa del nostro Paese il top non è tanto la storia passata o il “regalo” di giovani menti aperte alla novità e al cambiamento, ciò che invece è il nostro (purtroppo) “fiore all’occhiello” è il pressapochismo, il “tutto dovuto e arrivederci e grazie”, il sistema del volontariato dilagante anche nei ruoli che non si dovrebbero coprire e, soprattutto, le promesse non mantenute condite dalle coniugazioni prossime future: faremo, creeremo, sostenteremo, finanzieremo.
Già, più facile galleggiare che nuotare, più facile seppellire tutto sotto una marea di scartoffie, burocrazia e inasprimento perché se il “sistema ti sistema” allora in fondo c’è la speranza che prima o poi qualcuno delle vecchie glorie si stufi e lasci lo spazio ai giovani fiduciosi che ricominciano da capo il percorso arrivando poi ad abbandonare per necessità e delusione.
Non stupiamoci dei cachet di certe starlette televisive uscite da qualche reality tv insignificante, è quello che si vuole, perché ridere degli altri è più facile che ridere di sé stessi.
Si deprecano più comodamente la professionalità e la fatica di chi si è messo al servizio di un’idea e di una ricerca, quanti sono ora coloro che si ritrovano (se tutto va bene) a suonare ai matrimoni, a decorare un locale o a scrivere per un trafiletto pubblicitario? Troppi!
Ed è altrettanto facile poi sentire dire “Ah ma se fai il musicista (lo scrittore o l’artista), sapevi dall’inizio che era meglio studiare qualcosa che ti procurasse un lavoro vero!”, ora, definitemi “lavoro vero”, poi la disquisizione può continuare.
Nel frattempo cosa dire quando non si rispetta e non si onora il passato storico del paese e non si incentiva e aiuta chi invece vuole progredire? Chi ha il potere di cambiare le cose ci pensi, ci pensi seriamente sul ruolo al quale è chiamato ad agire.
Tra un bicchiere di champagne o una tartina al salmone ogni tanto si pensi alla funzione per la quale si è stati chiamati per porre l’attenzione su ciò che si fa e non su ciò che si è e basta. Serve, più che il presenzialismo, essere ricordati non per l’inutilità o il misfatto di turno, ma per il lavoro compiuto senza pressapochismo o volteggi di parole.
Ogni persona ha la capacità di cambiare, di agire, perché è il “fare” che ci distingue, ognuno di noi è chiamato in causa per rispettare e onorare l’arte, la cultura e il posto che ci accoglie: rispettiamoci e onoriamoci quindi.
Quale futuro ai posteri se non si tende la mano al passato? Sono da annoverare tra le bravate sciocche e becere le scalate ai monumenti fatte per scommessa, i bagni nudi nelle fontane, lo spreco di energie per manifestare contro il pareggio ingiusto in un derby calcistico, un giro al centro commerciale la domenica con la famiglia, la derisione di un artista di strada, lo scherno verso una guida volontaria: questo è il peccato di chi ha colpe e nessun merito.
Ci saranno sempre le primedonne, le prime ai vernissage, le prime in classifica, le prime volte, ma è necessario sbagliare ancora come “la prima volta”?
Il rispetto è l’onore che si dà all’arte, omaggiandola sempre, ogni giorno, perché è quello a cui siamo chiamati ad essere perché, come disse il sommo poeta: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.” (Inferno, XXVI – vv. 118-120)