Momento di pausa.
Pensieri sparsi in attesa che il caffè sia pronto e dalla moka arrivi il gorgoglio del liquido nero bollente che annunci la sua definitiva preparazione.
Ecco, in questo momento di fermo da studio e scrittura si riordinano immagini e parole: una conversazione lasciata in sospeso su Whatsapp, un like in Facebook o in Instagram, un’istantanea news apparsa sullo schermo, lo sguardo fuori dalla finestra socchiusa da cui entra sole e aria appena tiepida e i pensieri si posano sulla scrivania disordinata e piena di ogni cosa.
Nella zona del tavolo adibita a “cose che metterò a posto e farò” campeggiano diverse cose, forse il caffè tarda a borbottare e quindi è il momento giusto per fare un po’ di ordine.
Campeggiano volantini e comunicati stampa di mostre da vedere o visitate, dai titoli spesso inglesizzati, evocativi e semplici per catturare l’attenzione del pubblico, seguono poi comunicati stampa con stralci critici dei testi presenti nei cataloghi o la presentazione dell’artista.
Molti arrivano al cuore delle opere messe in esposizione, altri sono scritti senza arte né parte e non descrivono che voli pindarici senza arrivare al dunque, colpa di tanta critica d’arte passata che si é spesso fatta criptica e misteriosa, dalle parole ricercate e astruse.
Cartoline colorate, spillette, gadget vari, pass, biglietti strappati, caramelle salvagola e spegni tosse sempre presenti nelle tasche di chi deve parlare e stare tra la gente; fazzoletti di carta difficilmente usati per qualche commozione generale, ma più spesso forse per soffiarsi il naso in mezzo a troppa gente, troppi odori e profumi e troppe arie che invadono gli spazi.
Giornali e magazine gratuiti raccattati in qualche collettiva o spazio espositivo che puntualmente sono presi e messi in borsa e altrettanto puntualmente non saranno letti.
Biglietti da visita a cui non si riuscirà mai più associare la persona che li ha consegnati, dimenticando poi non solo la faccia e la voce, ma anche il motivo con cui si era cominciata la conversazione.
Biglietti degli autobus, treni, metro, tram che indicano orari e percorsi compiuti per raggiungere museo, fondazioni, mostre alle quali si è partecipato come visitatore o come parte attiva, spesso utili per ricostruire tempi e modalità d’azione di “moto a luogo” con le mete raggiunte.
Appunti scritti e mai più ricostruiti: chissà perché quella parola segnata, quel nome, quel titolo, cosa mai avrà significato e per quale motivo ora quel post it, quel pezzetto di carta strappata da un foglio giace lì senza motivo.
E ancora, cataloghi incelophanati ancora da aprire comprati sull’onda dell’entusiasmo e poggiati sotto un cumulo di “macerie d’arte”, magari vicino ad uno scontrino di un bar meta del nostro ristoro, segno complice di un tramezzino o di un bicchiere di vino o un gelato gustato nella pausa di giornata.
Questa sorta di “archeologia dell’arte” insegna molto, fa vedere come giorni e week end siano spesi poi per la conoscenza, la ricerca, la curiosità e l’accumulo di cose sparse non è che l’assembramento di passaggio del tempo di cui rimane poi solo un segno, magari un ricordo trasformato poi in una foto, un’immagine fra tutte catturata tra le migliaia ricevute dal nostro cervello, un tempo fissato ora e scordato poi, in attesa di un nuovo momento da accumulare sulla scrivania.
Un disordine che serve per fare ordine e per capire cosa e quanto è servito vedere e guardare l’arte che pare sempre passare in secondo piano su tante cose e tanti eventi: allestimenti che non rendono giustizia agli artisti e ai loro lavori, parole spesso ricamate e lasciate senza capo né coda, noia sovrana tra una sala e l’altra, incomprensibili didascalie, confusione e gente, calore attorno.
Pensieri che si mescolano insieme a città, opere, artisti e cultura tutti nell’angolo della scrivania, riflessioni in accumulo di cose da fare, da vedere e sedimentare, da riprendere, tutto perché l’uomo ha un suo percorso da affrontare, un tragitto che si compie nel caos anche negli angoli di una scrivania ricolma di ogni cosa, di ogni ricordo, di ogni ritaglio.
Bene, il caffè col suo profumo inebria la cucina, moka spenta e pausa in corso, il calore sale dalla tazzina e disegna forme nell’aria a plasmare così una coccola nel tempo tra meditazione e arte, prima o poi farò ordine. Forse.