Chissà cosa passa mai nella mente di un creativo quando si appresta a produrre un’opera, un creativo inteso come “colui che crea”, una persona che, in qualche modo, esplica con le forme e i colori la sua qualità artistica.
Poco importa che quando si parla di creativo ci si riferisca ad un cuoco, ad un cantante, un poeta, un pittore o uno scultore, la creatività spazia in ogni forma ed é comunque e senza dubbio un atto, un processo di plasmazione che prende vita.
A parole é difficile poi dare il senso del compiuto, di quella formulazione che ha intrapreso la strada dal concetto alla realtà, si consiglia allora che sia l’opera poi a parlare per l’artista, anche se poi molte immagini e risultati hanno bisogno di essere sciorinati e sviscerati, si ricerca allora una decodifica, una spiegazione che arrivi al cuore e all’anima della maggior parte del pubblico.
A volte é più facile a dirsi che a farsi, un pasticciere realizza una torta, ma conosce le dosi a colpo d’occhio, assaggia l’impasto, ne tasta la consistenza, vive in simbiosi con la sua creazione, non esistono quindi formule magiche o istruzioni per ripetere un lavoro e ogni lavoro risulta diverso da un altro proprio per il modo di operare e dare che si inzuppa con la passione e il sentire individuale.
Un artista spiega il suo lavoro, conduce ricerche per sensibilizzare la visione di chi guarda, poi ognuno dà la sua naturale interpretazione in differenti circostanze e piaceri soggettivi.
Spesso capire cosa davvero un’opera voglia significare non é sempre la risposta che si cerca, perché siamo ossessionati dal voler dare a tutti i costi una interpretazione delle cose? Perché cercare e ricercare le risposte anche quando le domande non ci sono? Perché si ha bisogno di queste costanti sicurezze?
Un dolce può soddisfare un palato, una poesia scaldare un pensiero, una tela o una scultura riempire gli occhi, una musica suscitare un ricordo… ci sono bisogno di ulteriori accompagnamenti? A volte si, a volte no, a volte invece un impianto critico o un punto di vista diverso fa vedere le cose da un’altra prospettiva e arricchisce di conseguenza altri spazi e nuovi fermenti si propagano e propongo ai sensi.
Immaginiamo un artista intento a spiegare, secondo il suo punto di vista, l’insieme delle forme e dei colori che hanno composto la sua opera e che se ne esca con una visione completamente diversa da come la si pensava o con una interpretazione che ribalta quello che invece noi si credeva: é corretto chi interpreta o chi ha creato? Un dolce é di chi lo impasta e cucina o di chi lo mangia? É un gioco delle parti, non si corra il rischio di massacrarsi a vicenda!
Sovente viene data una supposizione interpretativa alle cose che si vedono, sia dal carattere soggettivo che oggettivo, un’opera che associa colori come il verde, il marrone, l’azzurro porta palesemente alla memoria i colori della terra, di un territorio al quale si é abituati a vedere e sentire, senza la necessità di forme, il contatto con la natura.
Un artista invece può aver scelto quei colori per un suo modus operandi personale dove il verde gli può ricordare l’emozione di un sentimento fresco e sempre vivo, l’azzurro gli occhi del primo amore, il marrone la tinta del pelo di un cane a passeggio per la campagna deserta (N.d.T.: i riferimenti non sono casuali, ma dettati dalla conversazione con un giovane artista qualche tempo fa…).
Ciò che a noi appare forse non é ciò che in realtà è, e ciò che è a noi risulta preso dal vero forse in realtà appare… quindi? Cos’è l’arte? Un gioco di finzioni e di rappresentazioni? Una mimesi del reale? Da un reale tinta terra a un subordinato e fittizio tinta cane?
Per questo l’arte é continua riscoperta, ma soprattutto progressiva e mai paga ricerca, indagine di sé, dell’esterno e dei rapporti che intercorrono tra l’esecutore e lo spettatore.
Cosa resta al pubblico se non assaporare le cose? Magari con passione o con disgusto, abbuffandosi o centellinando i piaceri proposti, ma senza mai rimanere a digiuno di ciò che ci circonda. Gli Impressionisti uscivano all’aperto per catturare il mondo, Mario Schifano si rinchiudeva nel suo studio con i televisori a terra per far si che fosse l’esterno ad entrare dentro, visioni opposte, realtà estreme, sapori che ammaliano e avvolgono, così é il mondo creativo: un insieme di tutto, un gusto molteplice frammentato in più punti tra spazi concreti e luoghi immaginari dove anche un semplice marrone non é solo un colore, ma una tinta, una “tinta can”!