Chi si occupa di creatività, qualunque sia il campo d’azione preso in esame, si alza ogni mattina con la consapevolezza che non si deve necessariamente creare, ma sopravvivere in un mondo che usa e abusa della parola creatività.
Ogni giorno ci si appresta in primis a dover chiedere sempre scusa: scusarsi di fare troppo o al contrario di fare poco, scusarsi di piacere o di essere poco gradevoli, scusarsi per essere famosi o per non essere affatto conosciuti, scusarsi per aver preso in mano un pensiero e averlo poi trasformato in un’opera d’arte, scusarsi di scusarsi per farlo troppo spesso o troppo poco.
Sicuramente non si piace e piacerà a tutti in ugual modo, allora partono le scuse: chiedo venia se i miei scritti sono troppo poco colti o se lo sono troppo, se mi sento più storico che critico o, al contrario, più critico che storico, chiedo scusa se parlo di arte tutti i giorni e anche scusa se lo faccio poco.
Prima di partire con un pensiero di sicuro bisogna chiedere scusa, anche quando non ci sta motivo per cui scusarsi!
La società ha bisogno dei pentimenti, dei mea culpa, delle scuse da fare e proferire, partono lunghe missive di colpevoli, salotti televisivi (i nuovi confessionali dei vari reality che mettono tutto in campo), manifestazioni ed eventi vari, un circo di scuse per aver peccato, sbagliato, traviato, confuso, abusato delle cose.
Il chiedere scusa, il perdono cristiano, le rivalutazioni storiche, i capi chini, tutto un sistema che ha bisogno di sbagliare ma non impara dagli errori, tanto, basta chiedere scusa poi no? E tutto magicamente si sistema.
Ricordo un episodio da bambino dove con la foga dei miei anni e incoscienza mi misi a giocare a pallone in giardino e, nonostante le mille raccomandazioni, riuscii a spaccare con una pallonata a metà un vaso di gerani della mia mamma. Panico totale, e adesso? Scappare e far finta di niente? Affrontare stoicamente il danno e l’ira materna? Oppure… oppure sì! Chiedere scusa. Prontamente lo feci, mi recai “gemente e piangente” a chiedere scusa, quasi fosse colpa della rotazione terrestre che, incontrando la forza fisica dell’accelerazione data alla palla, accidentalmente finì per fondersi con la forza di resistenza del vaso di gerani e si sa, quando un corpo in movimento incontra un ostacolo fisso e immobile lo scontro tra le forze si tramuta in deviazione dell’oggetto in movimento e smembratura molecolare del malcapitato. Logico no?
Nonostante la mia spiegazione pseudo scientifica il risultato fu che il moto movimentato della mano genitrice incontrò la fissa guancia paffuta del sottoscritto con evidente segno di colore rossastro al suo passaggio e contatto, tradotto con un più prosaico: una sberla tanta!
Come? Io pentito, genuflesso e addolorato ricevevo un sonoro ceffone nonostante la mia spiegazione e scuse poco prima riferite? Ebbene sì, nella logica infantile tutto funziona ai minimi termini: combino un danno, chiedo scusa, risolto il fatto. Molto spesso questo lo pensano anche gli adulti…Invece no! Non funziona così, chi sbaglia paga, le scuse preventive o postume non riparano il danno, non lo frenano, non lo dissolvono! Per quale motivo allora si dovrebbe chiedere scusa anche quando si ha ragione? Quando si viene massacrati costantemente da un pubblico improbabile o impossibile da accontentare? Perché non si può fare a meno di dire e dare la propria opinione su tutto ormai! I professionisti non esistono più, in qualsiasi settore essi vengono condannati in partenza, “tanto quel (sostituire con qualsiasi oggetto, forma, professione, il risultato non cambia) ero capace di farlo anch’io”.
Qualche esempio? Insegnanti che non hanno più voce in capitolo con gli studenti che devono costantemente scusare perché iper protetti dai genitori, iper attivi, iper svogliati e la colpa diventa quella dell’insegnante che non ha pazienza o che non sa trasmettere o che non conosce la materia. Forse anni di studio, tirocinio, corsi, concorsi e specializzazioni non sono abbastanza per decretare la preparazione di un insegnante che deve giudicare uno studente?
Cuochi che dopo le scuole di formazione si sono sacrificati in altri Paesi, stagioni passate ai fornelli a cucinare mentre gli altri sono in vacanza, corsi in scuole specialistiche all’estero, gavetta, sacrificio per conoscere regole, lingue, abbinamenti, vini, sapori, gusti, sperimentazioni di culture culinarie, accostamenti e investimento che svaniscono col giudizio dato dal popolo dei fast food o dei toast casalinghi, a cui devono dare spiegazione e chiedere scusa per sapori non conosciuti.
Artisti che dopo ricerca, tecnica, sperimentazione, ore passate tra i colori e i materiali, confronti con altri artisti, discussioni con critici e curatori, lavoro costante tra pensieri, intuizioni, letture e visioni si ritrovano a dare spazio ad un “carinooo!” detto senza arte né parte da chi confonde un Andy Warhol con una stampa Ikea. Le prese in giro, il dover spiegare e scusare la propria arte è la condizione che meglio illustra il comportamento dell’uomo sempre pronto ad affaccendarsi senza entrare empaticamente con l’altro: Michelangelo dovette ritoccare il David per accontentare i committenti, Giovanni Boldini rifare i ritratti di alcune signore insoddisfatte del risultato, Lucio Fontana spiegare i suoi tagli, risultato di una condizione umana rivoluzionata nel momento in cui si creò il gesto sulla tela.
Giudicare é più facile quando non si hanno strumenti e nulla da dire se non sistemare poi tutto con un “ritiro ciò che ho detto e mi scuso”, ci hanno abituato con spudorato garbo poco illuminati politici, la Chiesa stessa, anonimi starlette televisive, quindi tutti si sentono in dovere di farlo, di giudicare, sbagliare e chiedere al massimo poi scusa.
Il ceffone materno a me è servito a non spaccare altri vasi di gerani e perdonare e scusare spesso non è che una soluzione mediocre per chiudere gli occhi di fronte all’ignoranza, all’errore, alla paura. É necessario avere l’umiltà di prendere sul serio i professionisti, insegnanti, cuochi, artisti e quant’altro, di riconoscere le loro capacità e lasciare che i giudizi mediocri non finiscano per massacrare e creare ulteriori danni magari mai più riparabili. Una critica o un freno alle cose servono solo se costruttive, di tuttologi ne è pieno il mondo, compreso quello dei social e dei leoni da tastiera, quindi costruite, non decontestualizzate!
Scrisse un giornalista alla morte di Moana Pozzi: “gli italiani, un popolo che è riuscito a trasformare una puttana in una santa, dimenticando di ricordare in vita come fosse sempre stata prima di tutto semplicemente una donna, ma basta scusare alla memoria e tutto passa.”
Appunto, basta scusare e scusarsi e tutto passa.
A tutti voi, le mie più sentite scuse.