Pubblicato il 19 novembre in http://vecchiatoart.blogspot.it

Per essere, bisogna apparire” recita un vecchio modo di dire, perché bisogna apparire? Perché bisogna sovraesporsi e mettersi in mostra? Conta davvero così tanto la visibilità?
Nel mondo contemporaneo invaso da social network e tecnologia tutto si fa più facile e le nuove pubblic relation arrivano attraverso scambi multimediali e virtuali che finiscono per far apparire più che essere.
Ogni giorno il primo pensiero diventa la “droga della visibilità”: cliccare con cuori o like i vari post dei social, controllare quante sono le visualizzazioni dell’ultima foto o frase preconfezionata, quanti “mi piace” sono stati messi, verificare cosa dicono, pubblicano, commentano e inseriscono gli altri… diventa un lavoro sociale capire e carpire il “segreto del successo” dell’apparire.
Alla fine di tutto questo percorso ciò che rimane è solo lo sfogo emozionale di una generazione sempre più in rete e sempre meno concreta, ma bisognosa di riconoscimento e riconoscimenti.
Nuove formule ansiogene prendono il sopravvento: “oddio oggi ho ricevuto cinque like in meno di ieri”, “sono le 11.00 devo postare il mio pensiero quotidiano #piccolidettagli”, “i particolari sono tutto e fanno la differenza, ecco perché metto ciò che mangio, come mi vesto e dove sono, che si sappia!”, “hashtag, datemi un nuovo #hashtag!”, “pronti? Selfie!”, siamo quindi arrivati, dopo l’era digitale, ad un nuovo tempo? Si, il tempo del “pubblico, dunque sono”.
Si abbandona l’App usata e abusata a favore di un’altra App più divertente, immediata e di impatto! Si pone l’accento sul nuovo, sulla ricerca di se stessi anche attraverso l’enfasi di essere sempre in prima linea! Mi riconosci? Ottimo, per cui esisto e ci sono! La vita social non può essere fatta di punti di domanda, ma deve essere costellata da puntini di sospensione…e di punti esclamativi! Perché? Perché si deve essere sempre vaghi ma con certezza! Quindi…il pensiero…sospeso…crea emozione e aspettativa…ma con un punta di entusiasmo e orgoglio!!!
Pubblico. Dunque sono? Costantemente si è etichettati come un popolo di poeti e scrittori, ma a ben vedere non di lettori, costa fatica “contaminare” il proprio Io con un poca di umiltà e di studio, capita sempre più spesso anche con chi si occupa d’arte: improvvisati curatori e storici dell’arte, artisti “fai da te” che si fermano al “colpo di genio” senza andare oltre, corsi e concorsi con “ricchi premi in danaro” che non portano a nulla.
Dall’altro capo della matassa si assiste invece sempre più ad una visibilità da marketing e merchandising, si affossa la cultura disertata nei suoi valori e negli spazi: conferenze semivuote, ricerche non supportate e finanziate, poco coraggio imprenditoriale, mostre e artisti di bassa qualità che fanno parlare i giornali e le tv, ma presto scordati.
È questo il futuro che ci aspetta?

ragazzi al museo Rijksmuseum di Amsterdam
ragazzi al museo Rijksmuseum di Amsterdam

Eccone un esempio, è una foto scattata all’interno del museo Rijksmuseum di Amsterdam, si tratta di un’istantanea che vede come protagonisti i maggiori fruitori della tecnologia contemporanea: gli adolescenti.
Dall’immagine risulta chiaro alle loro spalle il capolavoro all’interno della sala del museo “La Ronda di Notte” di Rembrandt, mentre, comodamente seduti sui divanetti davanti all’opera, alcuni ragazzi portati in gita dall’insegnante di turno, sono intenti e molto più presi a verificare i loro smartphone che secoli di cultura e arte che spuntano dalle loro teste chinate.
Si è gridato allo “scandalo”, alla “fine della civiltà”, a menti che sono annebbiate senza scampo e ubriacate da ignoranza e poco apprendimento…questa è la lettura di chi si sofferma e giudica con gli strumenti dell’esteriorità perché la contemporaneità porta con sé un grande difetto: giudicare ciò che appare.
Non stupiscono quindi immagini di questo tipo che risultano interpretabili a seconda di chi le legge, spesso ci si ferma, per l’appunto, alla sola apparenza vagliando senza indagare.
Un’immagine attira l’attenzione, ma quanti si soffermano a capire cosa ci sta dietro e cosa significa? Un’immagine fa da corollario alla copertina di un libro, ma non è il libro stesso.
Il Rijksmuseum museo si è sentito quindi in dovere di “difendere” quei giovani e di spiegare quella fotografia: i ragazzi qui ritratti e chinati sui loro cellulari non stavano affatto ignorando le opere d’arte, ma stavano imparando per mezzo di un’App, grazie alla tecnologia.
Non tutto è perduto, non è sempre vero ciò che appare, ma la realtà si confonde molte volte con un pensiero un po’ triste: tutto è virale e si diffonde, tranne la verità.