Pubblicato il 28 giugno 2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it
“Volevo essere come quei popcorn
Che non scoppiano
Quando stanno sul fuoco
Ma io avevo sottovalutato la pericolosità
di un petardo inesploso”
(La fortuna che abbiamo, Samuele Bersani)
Non esistono forme d’arte che, alle soglie di quasi un ventennio del 2000, non siano state sperimentate, dalla provocazione, all’abilità tecnica, al creare e cercare nuovi artisti.
Tutti hanno provato tutto, tutto si è visto, nessun tabù, la vita, la morte, le funzioni corporali, il coito, tutto è stato messo in scena nel calderone contemporaneo e sembrano lontani anni luce ormai le provocazione Futuriste, le Fontane duchampiane rovesciate, le scatolette di Merda d’Artista di Piero Manzoni…
Si è passati a fotografare i morti negli obitori come ha fatto Andres Serrano, tagliare e martoriare il proprio corpo come tanti artisti di performance e di Body Art, fissare i propri atti sessuali come Terry Richardson, mettere su tela sangue e vita come Hermann Nitsch, inscatolare rifiuti come Arman, impacchettare le cose come Christo, usare lo spazio esterno come ha fatto la Land Art…
Gli esempi sono innumerevoli ma la voglia di scoprire sembra forse finita secondo alcuni critici e artisti che liquidano il tutto come un “già visto, già fatto, già sentito”.
In Manifesta, la Biennale D’ Arte Europea, è stata installata l’opera The Zurich Load, installazione di Mike Bouchet, di che cosa si tratta? Di un’immensa sala di feci umane, 80 mila kg, raccolte da un gruppo di volontari abitanti in Svizzera.
Luca Beatrice in un pezzo dedicato all’opera su “Il Giornale” ha scritto: “La verità è che oggi gran parte dell’arte contemporanea si guarda come un film porno, ossessionati dal proibito, dalla stranezza, dall’ anomalia, dall’ oscenità finalmente rimessa in scena: se la Merda d’ artista, nel suo piccolo, poteva rappresentare un gesto di autoerotismo, The Zurich Load è una gigantesca orgia in cui non c’ è limite alle preferenze sessuali e il pudore un concetto che non esiste più.
In barba a chi si fa la fila, sgomitando, davanti alla Gioconda per raccoglierne il sorriso, pensiamo a frotte di art addicted a schiacciare il naso sul vetro mentre, dall’ altra parte, milioni di stronzi giacciono immobili, compressi in un rettangolo minimalista.”
Si, ha ragione, l’arte è un’ossessione del proibito e della stranezza, del vedere dove oltre ci si può spingere, come provocare ancora e perché farlo. Si è arrivati alla fine di un percorso e di un processo creativo? In fondo anche la merda è un prodotto finale e di fondi del corpo, quindi se rimane il “fare arte” solo con lo scarto significa che proprio non c’è nulla da dire oltre, né parole né formulazioni sulle opere d’arte.
Ma il concime aiuta a germogliare la terra, forse questa generazione ha finito di dare esempi e di fare arte preparando il terreno per altri a venire, quindi non tutto l’ovvio e lo squallore che incuriosisce ma porta con sé anche una bella dose di ribrezzo arriva a nuocere.
Dopo tanta concettualità, spiegazioni e elucubrazioni sul perché dell’arte si ha voglia di ritornare ad una sobrietà visiva, ad un’emozionalità artistica condotta attraverso la padronanza tecnica, lo studio, il confronto e meno voli di facile intellettualismo. Fermarsi, forse i tempi lo richiedono, fare il punto della situazione, imparare a guardare e non semplicemente vedere.
Il gusto della scoperta da assaporare attraverso l’immaginazione è forse migliore dell’esplicita visione, un po’ come per il porno: a volte è meglio fantasticare che conoscere.
Si rischia altrimenti di fare la fine dell’effetto del pop corn inesploso che ha perso così un’ottima occasione per emergere ed uscire rimanendo chiuso in se stesso, bruciacchiato e inutile.
Nell’era del click semplice e del touch facile si arriva alla comunicazione globale in poco tempo senza bisogno di cercare l’attesa e con pazienza azzerata. Subito ci si collega nel cuore delle cose: poche righe di lettura, pochi secondi di frame video e la comunicazione è servita.
Arte di tutti i tipi dalla land, alla shit, dal trash al kitsch passando per il post, il new, la trans, la street, la video, la virtual, il pop, l’op…ad ognuno la scelta.
Una scelta che deve sapere di nuovo ma mai già vista, già fatta, già sentita.