Pubblicato il 27 maggio 2015 in http://vecchiatoart.blogspot.it

L’idea di un artista che si presenta al pubblico è segnata da un immaginario collettivo dove il protagonista (pittore o scultore) è identificato come “quello un poco strano ed eccentrico“, diciamo che spesso questa prerogativa molte volte coincide con la personalità più che con l’arte.
Non necessariamente chi è artista è “strano”…
Questa convinzione di essere sopra le righe nasce forse dalla visione distorta e romantica del pittore bohèmienne che vive d’arte e poesia mista all’amore per il suo lavoro, povero in canna, solo e abbandonato senza speranze perché lui, piccolo genio incompreso, sarà valutato milioni di dollari solo in futuro, e lì, nel suo sottotetto umido e freddo la sua arte prende vita. Questa è l’immagine che ci è stata tramandata, un’idea poetica e disturbata dell’artista che, essendo fuori dagli schemi e dalle regole, vive in un mondo suo fatto di eccentricità e parallelismo con la società conformata.
Ecco, questo aspetto si è trasmesso nel corso dei tempi fino a creare le figure-mito di artisti come Salvador Dalì che ha fatto della sua vita una continua scoperta mista tra arte e gossip, portando all’apice i suoi prodotti artistici come risultato che “se non è un po’ pazzo non è un artista“.

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Come non citare le opere di Jeff Koons con protagonista l’allora moglie Ilona Staller in arte Cicciolina? Una performance dal sapore duchampiano di vita e arte al limite dello scandalo costruito a tavolino.
Nel corso di questi anni quindi il fatto di vestirsi non seguendo le mode, usando accessori che fanno riconoscere (anche in maniera ridicola) l’aspetto dell’artista, condire il tutto da atteggiamenti tra il divismo e la polemica (che non guasta mai e porta a titoli di giornali e pubblicità), porta al risultato della “dimenticanza obiettiva”: ci si dimentica di tutto tranne che del soggetto primario focus della nostra discussione, il prodotto finale: l’opera d’arte.
Molto spesso quindi ci si trova davanti artisti che conducono performance ineguagliabili, uniche, spettacolari e diciamola tutta anche ridicole!
È notizia di questi giorni l'”ennesima” performance performante della regina della body art, Marina Abramovic letteralmente furibonda con il rapper Jay Z, nel 2013 hanno collaborato nel video “Picasso Baby”, ispirato alla progetto “The Artist Is Present”, dove lei restava immobile, seduta di fronte al pubblico in totale silenzio (per una durata totale di 736 ore).
Nell’intervista a “Spike Art Magazine”, la Abramovic ha rivelato di essersi sentita usata: «Ci sono centinaia di persone che adattano il mio lavoro. Proprio adesso c’è qualcuno che ha fatto un film porno intitolato “Zadie is present”. La differenza è che, nel caso di Jay Z, io sono apparsa nel video. Sono arrabbiata perché Jay Z ha adattato il mio lavoro a una condizione: avrebbe aiutato il mio istituto. E poi non l’ha fatto. Il giorno prima venne nel mio ufficio e gli diedi l’intera presentazione, dicendo che avevo bisogno di una mano per creare il “Marina Abramovic Institute”. Invece lui mi ha usata e basta. Non è stato giusto. Lady Gaga, al contrario, ha fatto grandi cose con “Artpop”, e ha portato i suoi giovani fan tra il mio pubblico».
In realtà sono seguite poi le scuse del rapper e la notifica che i soldi furono a suo tempo versati non come Jay Z, nome d’arte di quest’ultimo, ma con il suo nome di battesimo: Shawn Corey Carter. Equivoco risolto e pace fatta, performance finita!

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Performance nella performance? Forse lo status di Marina Abramovic dovrebbe concludersi con un ritiro dalle scene smettendo di apparire con quell’aura di spontanea e inconsapevole amante dell’arte performante.
Tante volte gli artisti si cospargono di incenso puro misto a ingenuità perché loro “sono artisti” e devono solo ispirarsi all’arte, alla poesia, alle cose che trasmettono nelle loro opere ma facile poi vedere quanto accanimento si ritrova in certi conti fatti e aule di tribunale per difendere cotanta poesia e proprio ispirati e ingenui bohèmienne non appaiono ma manager di se stessi e freddi calcolatori.
Per fortuna che esitono anche gli artisti che si possono considerare tali in quanto non abbisognano di performance o di scenette di genere per risaltare ma sono davvero le loro opere a parlare.
A conclusione riporto un episodio che possiamo annoverare tra le performance più sincere e riuscite: le reazioni di Luigi Pirandello alla notizia del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura nel 1934.
La casa dello scrittore a Roma è invasa da giornalisti e fotografi, e l’anziano scrittore è costretto a mettersi in posa, curvo sulla macchina da scrivere, per assecondare il pubblico, batte sulla tastiera con un dito e riempie un foglio con una sola ripetuta esclamazione: “pagliacciate! pagliacciate!“.

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