Quantificare l’arte solo in base al mercato, ai costi e alla quantità di opere vendute non è certamente il metro di giudizio corretto per identificare un artista.
Jeff Koons con i suoi 90 miliardi di dollari per la scultura “Rabbit“, un coniglietto in acciaio inossidabile, è ora l’artista vivente, con relativa opera, più quotato del mondo!
Davvero si pensa che più costo e vendo più valgo? Più quoto più sono? Non esiste affermazione più assurda per essere definiti “artisti”!
Spesso la produzione artistica non è sempre ben identificata nel mondo contemporaneo e gli artisti stessi non sono riconosciuti in quanto tali. Fare arte, produrre ed esprimersi attraverso la pittura o la scultura in primis non incanala di certo tutto e tutti alla definizione di artista, di creatore di opere, ma di sicuro e in maniera innegabile siamo di fronte ad un “lavoratore” e “lavori” sono forse i termini più corretti per definire la plasmazione della creatività.
Per fare albero ci vuole il seme cantava Sergio Endrigo, per fare l’artista ci vuole tempo, fatica, pazienza, costanza e soprattutto tanto tanto tanto studio, non ci si improvvisa mestieranti: saper tenere in mano un pennello e imbrattare una tela non fa di voi un pittore, come assemblare materiali o incollare oggetti non vi incensa ad essere uno scultore.
Fare gli artisti” non significa avere solo fantasia e creatività, ma anche molte ore alle spalle passate nello studio e nella ricerca e altrettante ore a provare, sbagliare e ricominciare. Manifestare le proprie emozioni o i soggetti del sentire non può essere solo una mera identificazione con un lavoro artistico: produco, dunque sono?
Nell’era in cui tutti sono scrittori e nessuno è lettore, dove tutti sono professori e nessuno è studente, si arriva troppo spesso alle conclusioni effimere del tipo “io penso che…” compiendo passi falsi e madornali errori.
La libertà di pensare ed esprimere è la base della democrazia e della divulgazione, ma prima di comunicare il proprio concetto dobbiamo davvero essere sicuri e certi di ciò che si dice e si fa.
Qualche decennio fa gli artisti faticavano a farsi conoscere, il loro percorso era di sicuro più arduo di tanti “maestri” di oggi: erano forse una razza più rara da incontrare, nascosti tra atelier e caffè di ritrovo con altri loro simili intenti a discutere di politica, della società, del mondo artistico che li circondava, pronti a schizzare sul foglio appunti, lettere, pensieri, disegni che poi avrebbero rielaborato nei loro spazi pieni di colori e odori.
Oggi? I social network hanno aiutato alla diffusione delle immagini, agli scambi virtuali in tutto il mondo, ma mancano le associazioni dove ritrovarsi, forse più che gli spazi manca il confronto veritiero e unico: chi di noi è disposto a non apparire al meglio nei social? Contate, ad esempio, quante volte avete scattato un selfie prima di pubblicarlo, se non è perfetto con la luce come dico io e la postura al top non lo pubblico! È il giudizio che ci fa paura, è quello che ci frega inesorabilmente…
Si ha il sacro terrore di non piacere e di trovare chi non è consenziente sia con noi sia con il nostro lavoro, sempre. L’altro lato della medaglia è fatto, paradossalmente, da immensa cattiveria con i “leoni da tastiera” e di gente pronta a sparare subito a conclusioni affrettate senza sapere invece cosa ci sta dietro ad ore di lavoro e di studio (quando ci sono), questo è il guaio della dilagante ignoranza, dove tutti sono ormai diventati opinionisti del niente e si sentono in dovere di dire la loro e di essere di volta in volta ora storici, ora giuristi oppure esperti di calcio, metereologi, chef, economisti, costruttori e, perché no, anche artisti!