Un viaggio porta sempre insito in sé la scoperta di nuovi luoghi, nuovi incontri e nuove conoscenze, forse banale e ripetitivo, ma non si ritorna mai come si é partiti.
Nel percorso che si intraprende si arriva sempre ad esplorare luoghi e visioni differenti, ognuno regala un pezzo di emozione alla nostra storia e si finisce per trovare e provare le stesse identiche “convulsioni emotive” provate nel passato da altri che hanno intrapreso i nostri stessi viaggi, calpestato le stesse strade, respirato la stessa aria.
I famosi Grand Tour settecenteschi, i resoconti scritti di diari e impressioni sui luoghi visitati come “Viaggio in Italia” di Goethe, “Le pietre di Venezia” di John Ruskin, sono diventati nell’immaginario collettivo la visione di un passato storico e culturale fissato su carta per i posteri oltre che una apertura verso altri paesi di stimolo per i contemporanei viaggiatori dell’epoca.
Ma qual é il senso del viaggio? Perché si viaggia? Cosa spinge l’uomo verso la conoscenza e apertura a nuovi luoghi? In primis forse la curiosità, in quanto esseri mai paghi si tende ad esplorare ed estendere le proprie conoscenze verso altri lidi, verso altri sapori e culture, magari non tutto piace od é affine alla nostra sensibilità e capacità di giudizio, ma lo si fa per la percezione di vedere altre situazioni e assaporare gusti nuovi che, forse comparati alle nostre abitudini, possono risultare piacevoli o di poco garbo.
Se il viaggio é curiosità e scoperta, non sempre gli esiti poi sono quelli sperati, un detto veneto recita: “viajar descanta, ma se te parti mona te torni mona” (viaggiare ti scuote e sveglia, ma se parti stupido torni stupido). Questo a significare che spesso chi risulta indifferente alle cose é comunque poco ricettivo all’assorbimento sia del cambiamento sia degli stimoli proposti: non sempre il viaggio diventa arricchente.
Nell’arte, il viaggio é senza dubbio uno degli elementi di maggior scoperta e approfondimento per un artista: Paul Klee scopre la sua vocazione ad essere pittore solo dopo un viaggio compiuto a Tunisi, Corot riporta in patria il colore veneto e toscano, Albrecht Dürer rimane affascinato dal linearismo fiorentino e dal colorismo veneto, le scoperte di civiltà sepolte in Egitto ad opera del padovano Giovanni Battista Belzoni, l’instancabile ricerca di artisti e idee da parte di Peggy Guggenheim da New York a Venezia, l’elenco potrebbe continuare per pagine intere, nei secoli il viaggio é stato (ed é) sinonimo di scambio e di curiosità.
Colori, ideologie, pensieri, forme, trovano terreno fertile tra gli artisti poiché essi stessi vivono e sono colori, ideologie, pensieri e forme.
Spesso si viaggia per tornare al punto d’origine anche con la consapevolezza che si sta bene da dove si è partiti, senza andare troppo lontano da casa e dalle proprie idee, altre il bisogno invece si fa più impellente e si desidera fuggire via dalla quotidianità che ammorba i pensieri.
I sogni, come la fantasia, continuano e vanno oltre, viaggiano da sé: nella semplicità della vita di Henry Rousseau il Doganiere si scorge la potenza coloristica naif dei suoi sogni, così come in Ligabue, nelle fantasie di René Magritte, nei sogni ectoplasmici di Cy Twombly, tutto si snoda nel viaggio mentale che asseconda la fantasia degli artisti.
Perché si viaggia? Perché si dipinge o crea? Perché si scrive? Per soddisfare una curiosità, per bisogno di non sentirsi soli, per esprimere la propria conoscenza, per il gusto di farlo.
Ogni uomo, ogni artista, dovrebbe continuare a viaggiare per scoprire e per contribuire per sé ad allargare gli spazi mentali, poi il resto della comunicazione per gli altri arriva.
Il Sacco di Roma del 1527 ha contribuito alla dipartita degli artisti in maniera forzata, ma ha svolto così un’opera di importanza epocale contribuendo a diffondere il pensiero degli artisti in un mondo in cui la parola “globalizzazione” ancora non esisteva.
Oggi, tutto sembra più facile per chi usa la comunicazione come mezzo di diffusione: social network come Instagram, Facebook, internet, sono arrivati ad abbattere le frontiere e a far si che immagini e pensieri vengano recepiti in tutto il mondo in maniera quasi istantanea.
Rimane la voglia comunque di vedere, di visitare i luoghi, di carpire l’aria di chi ci ha preceduto, rimanendo estasiati nello stesso punto e nello stesso luogo dei nostri avi.
Il viaggio mentale é la naturale conseguenza di un viaggio fisico? Forse, ma é anche il suo contrario: un viaggio fisico diventa un’apertura mentale.
É per questo che quando si parte si augura sempre “buon viaggio!”, poiché il percorso e la permanenza devono essere di buon auspicio per apprendere sempre, per arricchirsi sempre, per imparare sempre.
Così, tra i pensieri, quando qualcuno chiede quale sia la meta del nostro percorso e domanda “dove vai?”, la risposta migliore rimane forse in ogni caso una: “spero molto lontano…”, già, lontano, dove nessun luogo é mai così lontano come si pensa.
Buon viaggio! Qualunque sia la meta.