Pubblicato il 25 ottobre 2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it

Essere creativi in Italia è sempre più difficile a quanto pare, non ci si mette solo la globalizzazione che brucia i tempi d’attesa quando si ha bisogno di collocare in cantiere un’idea o un’opera che possa arrivare al pubblico, ma oltretutto la crisi economica che, in maniera poco intelligente, al posto di incentivare le menti per uscire da un periodo buio accentua la non crescita e i tagli alla cultura.
Una soluzione che fa intravedere poca propensione ad investire nelle teste e a considerare la cultura e le arti qualcosa di superfluo, quasi un hobby a cui dedicare del tempo, tempo che appare sempre più risicato e poco prezioso secondo alcuni poiché chi si “permette” di voler vivere attraverso un lavoro emozionale e mentale è considerato un non-lavoratore e un non-produttivo per la società.
Niente di più sbagliato! È ai creativi, agli artisti, alla cultura stessa e alla ricerca che si deve puntare per trovare una soluzione e investire quindi in coloro che possono operare in più settori per avvicinarsi ad un buon esito e risultato.
Uno degli ultimi esempi? Una visione pianificata dal ministro Beatrice Lorenzin che ha richiesto ai creativi italiani di lavorare gratis per una campagna pubblicitaria per la giornata del Fertility Day.
Come si può chiedere di utilizzare un bagaglio di informazioni, cultura, sapere ed esperienza accumulata nel tempo in maniera gratuita? Questo atto di pura ignoranza arriva a decretare, ancora di più, la fine di un rispetto per un’attività e la cultura generale.
Un lavoro creativo ha bisogno di essere considerato e potenziato, ha la necessità di trovare tempo e considerazione e non di essere declassato e, molto spesso, deriso o umiliato.
Parole pesanti? Si! Con la consapevolezza che non si può pretendere di riempirsi la bocca di passato storicizzato, di grandi personaggi illustri che hanno costruito l’Italia e la sua gloria, bisogna avere il coraggio anche di guardare avanti e proporre soluzioni e conservazione di quel magnifico trascorso di secoli addietro, senza aver paura di un raffronto, ma forti del fatto che grandi e magnifici creativi ci hanno preceduto e ora la loro lezione deve continuare e non morire nel ricordo.
Purtroppo, tra i sogni e la realtà, il divario si fa sempre più concreto nel mondo contemporaneo: uomini e donne che, dopo aver passato una vita giovanile a studiare e a confrontarsi, si ritrovano a sopravvivere in un mondo che li squalifica e declassa, dove si arriva a riempire le fila di lavori precari e sottopagati, di frasi fatte di “le faremo sapere”, “è una grande opportunità quella che ti viene offerta”, “sei troppo giovane”, “sei troppo vecchio”, “intanto partiamo, poi vediamo”…
Come si può pretendere che un creativo o la cultura stessa progredisca se migliaia di persone si ritrovano in condizioni di precariato e releghino la propria cultura e inventiva al “tempo libero”? Cosa si produce dopo aver passato una giornata chiusi in un negozio a far i commessi o ad avere la testa riempita di parole al vento di un call center? Sempre rimanendo attenti alla scadenza di un contratto da rivalutare per un tot di mesi e poi chissà…
Non si tratta di gavetta o di momenti di passaggio, spesso tutto ciò consiste in una scelta univoca: o così oppure null’altro, senza possibilità di selezione e valutazione.
Perché? Perché non si dà lo giusto spazio a chi vuole davvero creare e fare dell’eccellenza nel proprio campo la sua ragione di sostentamento e vita? È questa la generazione che deve lavorare gratis? Senza nessun riconoscimento?
Stiamo forse vivendo una involuzione culturale? Come fa un creativo a sopravvivere senza un mantenimento e un’approvazione di ciò che fa?
Sembra diventato tutto superfluo: arte, musica, cultura, scrittura, fantasia, inventiva, sogni…cose inutili con sempre maggior allentamento verso una qualsiasi forma di considerazione per una dignitosa reputazione sul detto “sei ciò che sei, sei quello che il lavoro ti rappresenta”, ma vale ancora questa affermazione?
Si provi ad immaginare, ad esempio, Pablo Picasso oggi passare la sua giornata a fare il cameriere in una tavola calda a pranzo e a cena e poi, nel tempo rimasto, mettersi a dipingere, magari organizzandosi, compatibilmente con orari e cambi, per qualche mostra ed esposizione; che sarebbe stata la storia se un Dino Buzzati avesse scritto solo nel tempo rimasto tra un turno e l’altro all’interno di un call center? Come avrebbe insegnato Walter Gropius nella scuola della Bauhaus se fosse capitato all’interno del sistema concorsuale scolastico fatto di supplenze, chiamate, aggiornamenti? Se a René Magritte, in quanto pubblicitario e creativo si fosse chiesta una collaborazione gratis “così il tuo nome, grazie a questa opportunità, comincia a girare” cosa avrebbe fatto nel frattempo? Il commesso in qualche negozio in sostituzione di una maternità?
E poi? Poi sopraggiunge la stanchezza, l’età che avanza, i facili entusiasmi che si spengono e sempre più vicini a pensare che in fondo è “meglio un uovo oggi che una gallina domani”…allora si arriva a dire di “si” alle condizioni e confermare un lavoretto part time che non gratifica, si accende un mutuo e si abbandonano i sogni e la voglia di combattere e provarci si affievolisce.
Pablo Picasso finisce per diventare socio nella tavola calda dove lavora, continuando ad accostare con gusto estetico colori e forme nei piatti; Dino Buzzati apre un blog e scrive quando ha un po’ di tempo libero a disposizione; Walter Gropius porta a compimento il suo percorso di insegnante di disegno tecnico in un istituto professionale, riuscendo finalmente ad ottenere la cattedra di ruolo in un momento in cui ha perso ogni voglia di trasmettere il sapere ai giovani studenti e René Magritte si diletta ad allestire le vetrine con i manichini senza volto a cui mette un cappello in testa.
Un triste scenario.
E se la storia dell’arte si fosse svolta proprio in questo modo? Con nessun incentivo a guardare oltre e a non finanziare e premiare le persone e il mondo creativo? A gratis appunto. Tutto dovuto!
Non si chiede la gratuità delle prestazioni! Non è così che si incentiva un Paese, qualsiasi, ad uscire dalle crisi, seppellendo la voglia di fare e l’entusiasmo a favore di “cose che sono ritenute più utili”. L’uomo vive di sogni e di bellezza, non scordarlo è il primo passo.
Per continuare a far si che un popolo sia ricordato per la sua grandezza, per le sue doti e la sua creatività è necessario l’incentivo alla cultura e alla valorizzazione delle scelte che si fanno, nei secoli dei secoli, sennò è la fine.
Fine della storia?