Pubblicato il 16 dicembre 2016 in http://vecchiatoart.blogspot.it

Nessuno mai mi ha ascoltato fino a quando non hanno saputo chi ero
(Banksy)

Commercializzare l’arte diventa un tema spinoso se lo si guarda solo dal punto di vista della parola diffusa per far pubblicità e dal business che tutto paga.
Ottimo sotto il profilo della visibilità, ma dal lato della credibilità? Quanto va a pesare una risonanza altisonante se gestita male senza nessuna competenza?
Specchietti per le allodole ce ne sono troppi in giro nel mondo dell’arte, per fortuna che oggi esistono anche altri strumenti, come i social network, immediati e senza filtri nel bene e nel male, capaci di sbugiardare il falso o la poca preparazione in campo.
Nessuno dei presenti lettori affiderebbe un proprio bene a non esperti del settore, in qualsiasi campo: un dentista non è un parrucchiere, così come un parrucchiere non è un macellaio, di conseguenza la logica ci porta a pensare che neppure un negozio di oggettistica sia una galleria, così come un decoratore di oggetti con il decoupage non sia da etichettare come un artista.
Curare una mostra, scrivere un testo critico, presentare la storia, allestire uno spazio espositivo, è un compito difficile e soprattutto un dovere, in primis, nei confronti del pubblico.
Non si deve e non si possono ingannare le persone con false ideologie e sistemi, è un’arma che si ritorce ben presto contro provocando danni irreparabili e decretando la morte per suicidio commerciale e di affidabilità futura da chi invece ci ha creduto e non si è affidato al buonsenso delle cose.
Pensare di approntare una mostra o un evento improvvisandosi curatori e allestitori perché ci si affida al proprio gusto è il primo fallace passo verso il baratro, la prima impressione è il biglietto da visita che più conta: il troppo storpia, il troppo poco fa sentire la mancanza di professionalità e qualità, termini abusati forse, ma in fondo i più necessari per arrivare al dunque.
Pensare di scrivere un comunicato stampa affidandosi alle parole solo per colpire l’immaginario collettivo è un altro grande e grave errore! Chi legge può non sapere le cose ma, al contrario, può essere l’esperto della materia e trovare accozzaglie di informazioni e sbagli che una volta scritti non sono più cancellabili, si arriva a ridicolizzare il proprio lavoro senza accorgersene.
L’errore più grande che si può fare in questo momento è quello poi di dare una giustificazione e correggere quello che si è fatto, mai provare a trovare scusanti e porsi a difesa delle proprie inesattezze. Rettificare e rivedere quanto si è già pubblicato può produrre sia un calo di attenzione sia un danno difficilmente recuperabile, ad esempio: da lettore, da visitatore e frequentatore di esposizioni d’arte come ci sentiremo se la tanto pubblicizzata mostra di Michelangelo recasse come manifesto un’opera di Raffaello? Sicuramente è un errore che è stato fatto!
Come procedere quindi? La cosa migliore è chiedere scusa, ritirare la pubblicità e rifarla, invece c’è chi si arrampica sugli specchi e produce scivolamenti verso baratri irrecuperabili quando arriva a sottolineare nel dire che “lo sappiamo che è Raffaello e non Michelangelo, ma volevamo, caro pubblico, verificare la vostra preparazione e grado di attenzione per creare una discussione sul mondo dell’arte“.
Direi che a certi commenti postumi non conviene dare seguito, si scatenano altre polemiche e altre spiacevoli situazioni perché si tende così a pensare che in realtà quello che si va a vedere è fatto senza nessuna cura, senza nessuna preparazione e soprattutto cercando di rattoppare certe esternazioni con altre uscite che, forse, sono ancora peggio, provocando il pubblico e tastandone la sua preparazione. Non c’è cosa peggiore che dare dello stupido ad un terzo!
Il sapore della bufala o meglio del fake fa capolino da dietro l’angolo, non ci si improvvisa chef neppure per il giorno di Natale, l’impegno e lo sforzo vanno bene tra le mura di casa, ma poi, fuori, all’esterno con il giudizio di chi non si conosce e che magari si aspetta non guazzabuglio di copia+incolla da wikipedia o opere d’arte di dubbia qualità e provenienza, si rafforza la distanza tra quello che è la fatica di un’organizzazione preparata e seria che investe nella ricerca e propone risposte alle domande, mette l’accento su temi visti e conosciuti, dà qualcosa di nuovo al visitatore per riflettere e discutere, da quello che è invece visto solo come un’operazione di marketing capitata da chissà quali lidi e con sponsor vari.
L’arte non si può ridurre a pubblicità e al detto “parlatene anche male, ma parlatene”, le notizie distorte portano solo a peggiorare un sistema già debole e labile quando non è messo in mano a chi di dovere.
Non si obietti dicendo “e allora fallo te!“, no, ad ognuno il proprio spazio e il proprio compito, non si ribalta la situazione chiedendo agli altri di fare cose che noi, per primi, non siamo capaci di fare.
Un buon allestimento non è fatto solo da luci sparate al punto giusto, da cornici adeguate e da spazi adeguati, così come un buon testo critico non è raffazzonato con informazioni sterili, ma cerca di valorizzare le opere e accompagnare lo spettatore dentro un mondo ricreato a dovere per il piacere della visione e conoscenza.
Altrimenti…
Si, altrimenti si finisce per far di tutta l’erba un fascio e di non saper distinguere il buono dal cattivo, per fortuna esiste ancora il libero arbitrio e la capacità cognitiva di distinguere un prodotto mediocre da uno superiore.
È davvero necessario allora fare per mostrare? È veramente utile raggiungere le vette di un fuoco d’artificio per una mera visibilità? Quanto costa la serietà professionale?
A conclusione le parole di Jean-Jacques Rousseau che ben riassumono quanto detto: “Val molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione“.